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Milano Tips

Bestiario milanese tra realtà e finzione

Vi propongo un viaggio alla scoperta di quegli animali che popolano, o popolavano la città. Non parlo delle colonie dei gatti del Castello, dei cagnolini da borsetta o delle cornacchie monumentali che gracchiano come avvoltoi, ma di quelli che hanno contribuito, in un modo o nell’altro, a costruire l’identità di Milano.

Draghi

Il biscione del Palazzo Arcivescovile

Protagonista d’eccellenza in ogni bestiario fantastico che si rispetti, il drago non manca mai nelle leggende e nell’immaginario del passato dove figura spesso legato all’iconografia del demoniaco. A Milano la caccia al drago dà sicuramente grandi soddisfazioni e alla sua figura sono legate varie leggende.
Partiamo dal Duomo, colosso di marmo, intrico di guglie che conta selve di colonne, statue e draghi!
Uno è in facciata, immortalato in un rilievo accanto portale maggiore e raffigura un essere curioso, dalle zampe palmate, con testa di serpente. Niente squame, niente ali da pipistrello, niente aculei velenosi. Come drago, in effetti, sembra abbastanza innocuo, ben più tremendi appaiono i mostruosi dragoni dei doccioni. La tradizione lo identifica il nostro come il drago Tarantasio, mitologico abitante del lago Gerundio, nei pressi di Lodi. Particolarmente ghiotto di bambini, si racconta che con il suo fiato pestifero Tarantasio ammorbasse l’aria causando malattie e pestilenze. Esistono diverse versioni che raccontano della fine del lago Gerundio e del suo molesto inquilino, ma quella più interessante, parlando di Milano, è quella che mette in scena Uberto Visconti. Affrontato e sconfitto il mostro si fregiò della vittoria immortalando sul suo scudo un drago con un fanciullo tra le fauci, celebre emblema poi noto come biscione visconteo. Il figlio di Uberto, Ottone, diede avvio alla signoria viscontea su Milano divenendone anche arcivescovo.
Girando sul lato destro del Duomo, si può vedere quello che diventerà lo stemma del casato e poi simbolo dell’intera città sul vicino Palazzo Arcivescovile.

Cavallo

Il cavallo di Nina Akamu

Non un semplice cavallo, ma un vero e proprio colosso. Tale era il monumento equestre immaginato da Leonardo da Vinci e proposto al suo principale mecenate milanese, Ludovico Maria Sforza, signore della città. Il tema del monumento equestre che celebra un importante condottiero era ben vivo negli occhi e nei desideri del maestro: aveva potuto ammirare in santa Maria del Fiore quelli dipinti da Paolo Uccello e Andrea del Castagno. Conosceva quello padovano di Donatello e quello realizzato dal Verrocchio a Venezia. Non poteva essere da meno, ma al contempo voleva osare di più: si inventa allora un cavallo alto più di sette metri, messo in opera nella corte di Palazzo Ducale. Qui fa in tempo a costruire il modello d’argilla, ma non a portare a termine l’impresa. Il bronzo necessario alla fusione finale viene impiegato per far cannoni, d’altra parte, i francesi premono ai confini del ducato minacciandone la stabilità. Oggi il cavallo non esiste più: le fonti riferiscono che il modello fu abbattuto a sassate dalla soldataglia francese entrata in città nel 1499. Bisogna spostarsi fino all’ippodromo di San Siro per avere un’idea di come avrebbe potuto essere il monumento a Francesco Sforza: qui campeggia quello realizzato dall’artista Nina Akamu e collocato nel 1999.

Scrofa

La scrofa del Broletto Nuovo

Animale molto poco nobile ai nostri occhi, ma legato indissolubilmente al mito delle origini della città e del suo antico nome, Mediolanum. Dove nasce questo nome? Qualcuno suggerisce il significato di “luogo posto al centro”, ma a cercar bene, ci sono altre possibilità. Ne parla, tra gli altri, Isidoro di Siviglia nelle sue Etimologie. Lo storico racconta che alcuni Galli, spinti da lotte intestine e continue divisioni nel loro popolo, si trasferirono in Italia in cerca di nuove sedi e fondarono una città nel luogo in cui fecero un incontro propiziatorio con una scrofa medio lanuta, ovvero con metà del corpo coperta di lana. Da qui il nome Mediolanum. In posizione un po’ defilata, potremo ancora rintracciare la scrofa in piazza Mercanti, sul fianco nord del Palazzo della Ragione, quando verranno smantellate le impalcature di restauro.   

Toro

Il mosaico in Galleria Vittorio Emanuele II

La Galleria Vittorio Emanuele II: il salotto chic di Milano, vetrina di ristoranti di lusso, più o meno storici, dei caffè che hanno fatto la storia della città, delle griffe di moda più rinomate… invasa orde di turisti impegnati a trovare la posa più assurda e originale per lo scatto più instagrammabile. Qui però c’è qualcos’altro che stona: ovvero la pratica di tormentare un dettaglio del bel pavimento a mosaico. Sotto all’ottagono è realizzato lo stemma di casa Savoia circondato da quelli delle città che si cono avvicendate come capitali del Regno d’Italia: Milano, Torino, Firenze e Roma. Ed è proprio sullo stemma torinese, raffigurante un toro “furioso”, che si accaniscono i più, barcamenandosi in tre giravolte mentre pestano gli attributi del toro sotto il tallone. Forse si trattava un tempo di un gesto di sfregio nei confronti dei torinesi, oggi è diventato un gesto scaramantico e benaugurante che costringe il Comune a intervenire con frequenti restauri per risanare il mosaico crivellato dai piedi dei passanti.

Dromedario

Piazza Borromeo è un logo semisconosciuto ai più ed è uno dei gioielli del centro di Milano, anche se tristemente usata come parcheggio. Su un lato si affaccia la chiesa di Santa Maria Podone, sull’altro un edificio dal prospetto di mattoni, Palazzo Borromeo. Le parti più antiche del palazzo risalgono alla seconda metà del Trecento, quando la famiglia Borromeo si trasferisce a Milano dalla toscana. Di tempo da allora ne è passato, e ha lasciato le sue cicatrici sulla facciata, oltre che nei cortili e negli spazi interni. Resta, per fortuna, il bel portalino in marmo coronato da uno degli emblemi cari ai Borromeo: quello del dromedario.  Accovacciato in un canestro, l’animale ha la gobba cinta da una corona a simboleggiare la pazienza e la devozione. E per essere consiglieri degli Sforza, ce ne voleva tanta! D’altronde sono stati ben ricompensati con feudi e ricchezze, come quello di Angera, sul lago Maggiore, che hanno accresciuto la loro potenza.

Fagiano

Ai piedi dell’alta torre dei Gorani si nasconde un tesoro fatto di tante tessere di marmo: si può sbirciare da un oblò spesso appannato, un affaccio sulla storia antica di Milano che si nasconde sotto ai nostri piedi e che ci mostra un pennuto. Non un piccione di piazza Duomo, né un pavone come di primo acchito si direbbe, ma un fagiano. È solo uno degli elementi del pavimento a mosaico a composizione geometrica realizzato nella seconda metà del IV sec. d.C. Sicuramente rivestiva una delle sale di rappresentanza del palazzo imperiale che qui, sull’area dell’attuale via Brisa, esisteva fino all’alto medioevo. Forse decorava proprio di un triclinium, la sala in cui i patrizi si riunivano per consumare il banchetto sdraiati sui tradizionali letti triclinari. Il fagiano, insieme ad altre rappresentazione di volatili o di pesci, spesso rimanda alle scene di vivaio, ovvero agli animali che venivano allevati e consumati durante le cene luculliane dell’epoca.

Serpente di Bronzo

Il serpente di bronzo in Sant’Ambrogio

Entrando dell’atrio della Basilica di Sant’Ambrogio di animali se ne incontrano molti: occhieggiano dagli antichi capitelli con facce spesso mostruose. Per trovare quello che ci interessa dobbiamo però entrare in chiesa e guardare in alto, fin sopra una delle colonne sistemate nella navata centrale. Qui un serpente di bronzo è raffigurato mentre si bilancia sulle spire sinuose. La sua storia ci porta indietro nei millenni, addirittura al tempo di Mosè, quando Dio ordinò al liberatore del popolo d’Israele di far realizzare un serpente di bronzo. Il serpente, chiamato Nehustan, avrebbe guarito quanti tra gli ebrei si erano lamentati della durezza del viaggio di liberazione dall’Egitto ed erano stati morsi dalla moltitudine di serpenti mandati dal cielo come punizione divina. Diventato oggetto di idolatria, il serpente venne in seguito distrutto, ma una leggenda vuole che invece, restando occultato per secoli, si fosse salvato, arrivando a Milano con l’Arcivescovo Arnolfo, intorno all’anno Mille. Una volta collocato in Sant’Ambrogio, i milanesi cominciarono a beneficiare dei suoi poteri taumaturgici per curare i mali intestinali, spesso legati alla presenza di parassiti, come i vermi, piaga frequente nella popolazione di un tempo.

Rattìn

Il rattin della Galleria

Mancava, in questa carrellata, un riferimento agli animali meccanici e per farlo dobbiamo tornare alla Galleria… di molti anni fa, ovvero prima dell’avvento della luce elettrica. Fino almeno al 1885 l’illuminazione notturna era garantita da lampade a gas, con tutta la scomodità dell’accensione di un sistema collocato a diversi metri d’altezza. È qui che entrava in scena il cosiddetto rattìn, una sorta di trenino caricato a molla che, correndo sui binari montati alla base della cupola, andava ad accendere gli ugelli delle lampade regalando uno spettacolo ogni sera. Visto dal basso sembrava un topolino, da qui il soprannome affibbiato dai milanesi. Caduto in disuso è oggi conservato al Museo Costume Moda Immagine di Palazzo Morando.

Fenicotteri

Sì, ma questa volta in carne, ossa e… piume rosa. Lo dico sempre che le bellezze di Milano non sono così manifeste e bisogna andarsele a scoprire piano piano. Buttare l’occhio nei cortili e nei giardini privati spesso dà i suoi frutti, come nel caso di Villa Invernizzi, residenza Milanese di Romeo Invernizzi e della moglie, oggi sede dell’omonima Fondazione. Il giardino affaccia su via Cappuccini e ospita uno stormo di fenicotteri che era la gioia dell’inventore del formaggino Mio, a quanto pare grande amante della natura. I volatili vennero importati dall’Africa e dal Cile intorno al 1980 e vennero inseriti in una piccola oasi artificiale dove si sono adattati alla perfezione riuscendo anche a mantenere, grazie alla dieta appropriata, il loro caratteristico piumaggio. Oggi fanno la gioia dei curiosi che si affacciano alla cancellata cercando di scorgerli. Ennesima meraviglia del Quadrilatero del Silenzio, angolo di liberty di Milano dove la natura, in qualche caso si è fatta viva.